Nell'era digitale, le proteste e l'attivismo, favoriti dai social media, si esprimono in nuove forme, amplificando le voci emarginate e diffondendo concetti…
Continua a leggereNell’era digitale, le proteste e l’attivismo, favoriti dai social media, si esprimono in nuove forme, amplificando le voci emarginate e diffondendo concetti come ‘antirazzismo‘ e ‘attivismo sui social media’. In Iran, la protesta è scaturita dalla morte sospetta di Mahsa Amini, arrestata per l’hijab, con manifestazioni coinvolgenti 161 città, sfidando le restrizioni governative su internet.
Oltre alla richiesta di giustizia per Mahsa, le proteste rappresentano una ribellione contro l’oppressione dell’hijab. Nonostante le restrizioni, le dimostrazioni persistono coinvolgendo diverse fasce della popolazione e ricevendo supporto internazionale, incluso l’interesse dell’Unione Europea a imporre sanzioni all’Iran.
Nel contesto dell’evoluzione digitale e della crescente importanza dei social media nella comunicazione moderna, le proteste e l’attivismo hanno trovato nuove forme di espressione e mobilitazione.
Ogni persona connessa online ha il potenziale di diventare un partecipante attivo nell’informazione e nella promozione di cause collettive. Le piattaforme digitali hanno amplificato le voci di comunità emarginate e hanno consentito l’espansione di termini come ‘antirazzista’, ‘attivismo performativo’ e ‘attivismo sui social media’.
Di seguito, alcune caratteristiche delle proteste digitali che hanno influenzato la storia e la politica dei Paesi coinvolti, mettendo in evidenza il potere dei social media nel plasmare il dibattito pubblico e il cambiamento sociale.
Nonostante il regime teocratico e le sanzioni internazionali, le donne iraniane continuano a lottare per ottenere pari diritti e superare il divario di genere.
Il cambiamento generazionale ha portato a una crescente resistenza contro la tirannia e l’oppressione, anche se la libertà di espressione è fortemente limitata.
L’organizzazione Spreading Justice raccoglie dati sulle violazioni dei diritti umani, mirando a esporre gli autori e sensibilizzare il pubblico. Le proteste attuali sono le più estese dal 1979, alimentate anche da fattori economici come l’aumento dei prezzi e la disoccupazione. Solo il 15% delle donne è coinvolto nel mercato del lavoro. L’Iran si è classificato al 143º posto su 146 Paesi nel Global Gender Gap Report del 2022, a causa della scarsa inclusione delle donne nella sfera politica.
Il sistema è patriarcale e le donne sono spesso escluse dal potere e sottomesse secondo antiche usanze. La Nuova Generazione dimostra un cambiamento nel pensiero e spera di portare trasformazioni sociali, supportata dalle occasioni di contatto con l’Occidente. Questa connessione ha ampliato le prospettive e rafforzato la lotta contro l’istituzione islamica che sfrutta l’isolamento e l’oppressione.
Nel cuore dell’Iran, una scintilla di protesta è diventata il focolaio di una rivolta nazionale. Ci troviamo di fronte a un movimento che va oltre le semplici sfumature politiche, un’ondata di cambiamento che è nata da un evento tragico e si è diffusa come un incendio in tutto il Paese. Ma dietro queste proteste si nasconde molto di più: la lotta per la libertà delle donne, la richiesta di cambiamenti strutturali nel regime e un’aspirazione a una società più giusta ed equa.
Parliamo della storia di Mahsa Amini, una giovane di 23 anni originaria di Saqqez nell’Iran nordoccidentale e in vacanza a Teheran con la sua famiglia curda, arrestata il 13 settembre 2022 dalla polizia religiosa per aver indossato in modo scorretto l’hijab, il velo islamico.
La sua detenzione sarebbe dovuta durare poco, in quanto doveva essere sottoposta a un corso sul velo e rilasciata entro un’ora. Tuttavia, tre giorni dopo essere stata arrestata, Mahsa è morta in circostanze sospette il 16 settembre 2022.
Foto di Mahsa Amini prima della detenzione
Il fratello, che l’aveva visitata in ospedale, ha notato lividi sulla testa e sulle gambe di Mahsa. Nonostante la polizia affermi che la giovane sia deceduta a causa di un infarto, i segni sul corpo di Mahsa fanno pensare a un pestaggio. Testimoni oculari hanno dichiarato di aver assistito al pestaggio e di aver visto Mahsa sbattere la testa. Alcuni medici hanno sostenuto che la giovane presentava segni di lesioni cerebrali, sanguinamento dalle orecchie, lividi sotto gli occhi, fratture ossee, emorragia ed edema cerebrale.
La versione ufficiale del decesso contrasta con le prove fisiche e le testimonianze che indicano un possibile coinvolgimento della polizia nelle circostanze della morte di Mahsa. La sua morte ha scatenato indignazione e proteste in tutto il Paese, e le autorità iraniane sono state criticate per la loro gestione del caso. La vicenda di Mahsa rappresenta un esempio dei conflitti legati all’obbligo dell’hijab e alla repressione dei diritti delle donne in Iran, e ha contribuito a catalizzare ulteriori tensioni e proteste contro il regime teocratico.
A partire dal 16 settembre 2022, sono scoppiate manifestazioni a Saqqez. Queste proteste si sono propagate rapidamente, coinvolgendo diverse città e province. Anche Teheran ha visto studenti riunirsi davanti alle università in solidarietà.
Le manifestazioni hanno raggiunto un’ampia portata, coinvolgendo 161 città e 31 province. Tuttavia, il governo iraniano ha cercato di limitare il loro impatto attraverso blackout di Internet e restrizioni sui social media a partire dal 19 settembre. Nonostante questi sforzi, le immagini e i video delle proteste si sono diffusi, suscitando sostegno sia all’interno che all’esterno del Paese.
Le manifestazioni non si limitano solo alla richiesta di giustizia per Mahsa, ma rappresentano una ribellione contro il sistema oppressivo che l’hijab rappresenta. Gli attivisti cercano maggiore libertà, diritti per le donne e un cambiamento radicale nel regime attuale.
Le restrizioni tecnologiche imposte dal governo, tra cui l’uso di VPN illegali, non sono riuscite a fermare la diffusione delle proteste attraverso Internet e i social media.
Nonostante gli sforzi del governo iraniano nel sopprimere le proteste, queste sono continuate con determinazione, coinvolgendo diverse fasce della popolazione. Gli uomini si sono uniti alle donne nella lotta per abbattere il regime teocratico che governa il Paese da 44 anni. Organizzazioni internazionali, come l’Unione Europea, hanno espresso sostegno alle proteste e stanno cercando di imporre sanzioni all’Iran.
Le proteste iniziate in Iran, che successivamente hanno guadagnato visibilità a livello globale, sono state caratterizzate da un gesto emblematico: il taglio di una ciocca di capelli. Questo atto, con radici profonde nelle antiche tradizioni locali, simboleggia il lutto ed è storicamente associato a eventi tristi o situazioni in cui predominano emozioni come rabbia e sconforto. Questo gesto è stato attuato in memoria di Mahsa, scomparsa lo scorso settembre. Un numero considerevole di donne, insieme a uomini che sostengono la causa femminile in questa protesta, ha deciso di tagliare simbolicamente i capelli con le forbici, un gesto che esprime solidarietà.
In stretta connessione con il lutto e la motivazione legati alla morte della ragazza, un altro gesto simbolico è rappresentato dal taglio o dalla bruciatura dell’hijab. Questa azione si configura come un grido contro l’oppressione e un richiamo alla libertà, oltrepassando i confini linguistici e ottenendo il sostegno di donne provenienti da tutto il mondo. La prima figura pubblica a incarnare il gesto di “capelli liberi al vento” è stata la giornalista politica Masih Alinejad, che ha condiviso su Facebook una foto di sé a Londra senza vincoli. L’enorme sostegno ricevuto ha portato alla creazione, nel 2014, della pagina “My Stealthy Freedom” su Facebook, una raccolta di fotografie di donne iraniane che condividono la loro emancipazione. Questo movimento si è evoluto nella più grande campagna di disobbedienza civile, attualmente con un milione di followers e un milione di “Mi Piace”. Nel maggio 2017, è stata lanciata l’iniziativa del “mercoledì bianco“, durante il quale le donne contrarie alle leggi sull’obbligo del velo indossano abiti bianchi come segno di sfida.
Durante le manifestazioni per le strade, è stato adottato il motto “Donna, Vita, Libertà”, con origini che risalgono al 1993, durante le guerre curde sulle montagne, quando le donne invocavano la libertà del popolo. I diritti delle donne sono stati frequentemente al centro delle proteste contro il regime teocratico. Nonostante le donne siano in prima linea e costituiscano il fulcro di queste manifestazioni, si può argomentare che gli atti di ribellione siano mirati a riconquistare una vita democratica e libera per l’intero Paese.
Tra i manifestanti, si distinguono coloro che indossano maschere per evitare l’identificazione tramite telecamere di sicurezza. Il governo iraniano ha installato telecamere “intelligenti” nei luoghi pubblici per riconoscere e identificare in particolare le donne senza velo, inviando loro messaggi di avvertimento sulle possibili conseguenze. Questa tattica governativa sembra mirare a intimidire e spingere le donne a rispettare l’hijab. Sorge la domanda se lo Stato tema che la presa di posizione della popolazione, sostenuta da diversi paesi, possa minare il regime, comportando conseguenze serie e non più considerate impossibili.
A sostegno delle donne iraniane, sono stati organizzati vari flash mob, con i più significativi tenuti in Italia, a Roma, dalla compagnia internazionale “One Billion Rising“, fondata dalla drammaturga Eve Ensler. La decima edizione di questo evento è stata dedicata alla solidarietà nei confronti delle donne iraniane, con l’obiettivo di affermare che nessuna donna nel mondo debba più subire violenze, abusi, vendite, insulti, degradazioni o privazioni della propria libertà.
I flash mob si sono estesi in tutta la penisola, coinvolgendo città come Milano, Bologna, Firenze e Napoli. Durante queste manifestazioni, le partecipanti eseguono una danza armoniosa indossando maglie con il volto di Mahsa Amini e delle altre ragazze uccise. Simbolicamente, gettano a terra l’hijab in segno di disprezzo verso l’imposizione sull’abbigliamento e gridano lo slogan “Donna, Vita, Libertà”.
A Milano, in particolare, è stato organizzato un flash mob il 2 aprile 2023 in solidarietà alle cinque ragazze di Ekbatan, periferia di Teheran, arrestate dopo aver pubblicato su TikTok un video in cui ballavano senza velo. In Iran, ballare in pubblico, specialmente senza velo, è vietato, e il video divenne virale, attirando l’attenzione anche delle forze dell’ordine. Le ragazze furono identificate tramite telecamere di sicurezza, trattenute per due giorni e rilasciate solo dopo aver registrato un video di scuse e pentimento.
La nuova generazione in Iran sfida l’ordine morale attraverso i social media, esercitando una pressione significativa. I social media rappresentano l’unico canale di scambio di informazioni, e gli iraniani diffondono immagini e video online per far conoscere la loro realtà. Questo tema ha ricevuto sostegno a livello mondiale, incluso quello da parte di figure di spicco, come la nazionale di calcio iraniana, che durante una partita ai mondiali in Qatar nel novembre 2022 si è rifiutata di cantare l’inno nazionale come espressione di solidarietà alle proteste in corso nel loro Paese.
Un’altra figura coraggiosa è l’atleta iraniana Elnaz Rekabi, campionessa di arrampicata, che ha gareggiato senza l’hijab obbligatorio ai campionati di Seul il 16 ottobre. Il video della sua performance è diventato virale, ma successivamente si sono verificate preoccupazioni per la sua sicurezza, poiché non sono giunte notizie da lei. Si ipotizza che sia stata imprigionata al suo ritorno in Iran, anche se l’atleta ha successivamente rassicurato i suoi sostenitori, scusandosi per l’assenza e attribuendola a una “fretta organizzativa”. In seguito, la casa della sua famiglia è stata danneggiata e demolita, con sospetti che la tragedia sia stata causata da funzionari governativi in risposta alla sua disobbedienza alle regole religiose, anche se non ci sono prove ufficiali a conferma di ciò.
Secondo il rapporto del sito “Data Reportal“, l’uso di Internet in Iran a gennaio 2023 ha registrato un aumento significativo, con 69,83 milioni di utenti rispetto ai 59,16 milioni di gennaio 2021. Inoltre, gli utenti attivi sui social media sono ora 48 milioni, pari al 54% della popolazione, rispetto ai precedenti 36 milioni (42,6%) di gennaio 2021. Nonostante la connessione non sia ad alta velocità, l’aumento dell’uso dei social media indica una positiva variazione, evidenziando la presenza significativa di tali piattaforme nella vita della popolazione giovane.
Un dato interessante è che Instagram, nel 2022, costituiva l’82% del traffico totale dei social media, ma nel 2023, a causa dei blocchi e delle restrizioni imposte dallo Stato, questa percentuale è scesa al 26%. Questo fenomeno ha spinto i cittadini a rivolgersi a piattaforme come Twitter, più orientate al dibattito politico e con messaggi brevi, soprattutto a causa delle limitazioni visive imposte.
Gli utenti dei social media, per esprimere solidarietà alle donne iraniane, hanno iniziato a replicare i gesti simbolici della rivolta, come l’esposizione di foto di Mahsa su cartelloni, l’adozione dell’inno alla libertà, il taglio di ciocche di capelli e la bruciatura del velo. Questi gesti sono accompagnati dall’hashtag #HairforFreedom, che ha superato i 1000 post su Instagram. Personalità come l’attrice Juliette Binoche e la deputata svedese Abir Al-Sahlani hanno aderito a questo movimento, contribuendo a diffondere il messaggio.
Il video delle cinque ragazze di Ekbatan è diventato virale, specialmente su TikTok, con l’hashtag #mahsaamini che conta più di 1,8 milioni di post su Instagram e 2,5 miliardi di visualizzazioni su TikTok. Celebrità come Chiara Ferragni sono state coinvolte attraverso il medesimo hashtag per aumentare la visibilità e sensibilizzare l’opinione pubblica.
Amnesty International ha utilizzato il potere dei social media per promuovere una petizione volta al rilascio di tre ragazze, compresa Yasaman Aryani. La petizione ha raccolto oltre 60.000 firme, e la liberazione di una delle giovani è stata annunciata successivamente su Instagram.
Il documento sottolinea anche il ruolo delle petizioni online come strumento democratico per sollevare questioni di interesse comune. La vittoria ottenuta tramite la petizione “Riportate mia sorella a casa; #FreeGhonchehGhavami” evidenzia come l’ampia visibilità mediatica possa influenzare positivamente, coinvolgendo 746.531 sostenitori e portando al rilascio della giovane.
Piattaforme di crowdfunding, come GoFundMe, sono state utilizzate per raccogliere fondi in supporto alle donne iraniane, dimostrando che il web può trasformare la risonanza online in azioni concrete. La raccolta fondi “Aiuta a sostenere i bisogni per le proteste settimanali” ha utilizzato le donazioni per fornire supporto ai manifestanti durante le rivolte, dimostrando come anche piccole azioni online possano fare la differenza nella vita delle persone. In definitiva, questo sottolinea come il web, oltre a essere una piattaforma di comunicazione virtuale, possa trasformarsi in un potente strumento di cambiamento nella realtà.
Sono Sara Giannese e vengo da San Clemente, un paese vicino a Riccione. Mi sono laureata a luglio 2023 in Comunicazione e digital media, ma prima di intraprendere il percorso universitario ho frequentato l’istituto tecnico per il turismo di Rimini
Sono una persona molto curiosa e mi metto in gioco in qualsiasi situazione. Adoro le sfide perché si può sempre imparare qualcosa, se non da loro su di sé. Amo mettermi in discussione e a confronto. Il tempo per un caffè con le persone care lo trovo sempre, come non mancano mai dei ritagli di tempo per me stessa.
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Continua a leggereIl brand journalism, introdotto da Larry Light di McDonald's nel 2003, unisce giornalismo e branding per raccontare la storia di un marchio…
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