Le conseguenza della disinformazione: il caso di Trump e Cambridge Analityca

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ABSTRACT

Al giorno d’oggi sottovalutiamo molto spesso l’importanza di sottoporre le informazioni che riceviamo ad un’attenta analisi, per verificare la loro effettiva correttezza. Troppo di frequente diamo per scontato che le notizie che leggiamo sui giornali o in rete siano vere e quindi ci limitiamo a leggere qualche titolo senza neanche soffermarci sull’articolo vero e proprio. Il fenomeno della globalizzazione ha poi amplificato questa tendenza ai massimi livelli, aumentando in modo esponenziale le fonti che trasmettono notizie e, di conseguenza, anche il numero di notizie false che circolano in rete e non. Quando poi sono i governi stessi a fornire informazioni errate ai propri cittadini, sembra non esserci più speranza. È questo il caso della campagna elettorale di Donald Trump del 2016, in occasione della quale il magnate americano ha diffuso notizie false per aumentare la propria credibilità e screditare invece quella dell’avversaria Hillary Clinton. Tutto ciò però non è passato inosservato: il tycoon si è rivolto a soggetti, come Cambridge Analytica e il governo russo, che hanno utilizzato metodi poco “ortodossi” per influenzare l’opinione pubblica. Tuttavia, in seguito a indagini giornalistiche e giudiziarie, è emerso che tali collaboratori hanno sfruttato i dati provenienti da Facebook per profilare i cittadini americani senza il loro consenso e hanno diffuso un’enorme quantità di disinformazione tramite l’utilizzo di bot e troll. Queste azioni, insieme a una comunicazione dai toni forti e vivaci, hanno contribuito ad alimentare episodi di violenza e sommosse in tutta l’America, condizionando la società statunitense e non solo.

ALCUNI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

l'assedio il mercato del consenso la dittatura dei dati

INTRODUZIONE

L’importanza di una corretta informazione è centrale al giorno d’oggi: essa richiede un particolare impegno sia da parte di chi fornisce le notizie, che deve preoccuparsi di diffondere informazioni verificate, sia da parte dei fruitori, che devono invece fare attenzione all’autorevolezza delle fonti. Con l’avvento di Internet e della globalizzazione queste ultime si sono moltiplicate a dismisura, aumentando di conseguenza anche la mole di informazioni non corrette (o disinformazione) divulgate. Quando poi sono i governi dei Paesi stessi a diffondere false notizie la faccenda si complica ancora di più. Il caso di cui parliamo in questo articolo è quello dell’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che nel corso della propria campagna elettorale e di tutto il mandato presidenziale ha raccontato qualche bugia di troppo per servire i propri scopi. Nello specifico vedremo come Trump (e con lui tutto il team che ha gestito la sua campagna di comunicazione) abbia utilizzato toni particolarmente vivaci e notizie non propriamente verificate per polarizzare le opinioni dei cittadini e provocare caos e confusione nell’elettorato e nell’intera società americana.

IL CONTESTO E GLI ATTORI IN SCENA

Prima di arrivare ai fatti veri e propri è utile e anche necessario fare una premessa sui protagonisti della vicenda. In primo luogo parliamo di Donald Trump, figura piuttosto ambigua con idee radicali di estrema destra. È il vero imputato di questa storia, colui che grazie all’utilizzo (molto astuto) dei social media, della rete e di una dialettica populista è riuscito a vincere le elezioni presidenziali del 2016. In particolare il team del
tycoon¹

È uno dei soprannomi con cui ci si riferisce a Trump, o più in generale a qualsiasi magnate industriale.

americano è riuscito a manipolare l’opinione pubblica diffondendo notizie false che esaltassero la figura di Trump e screditassero quella dell’avversaria democratica Hillary Clinton. Potendo contare su milioni di sostenitori radicali, queste informazioni sono state ricondivise e diffuse su vasta scala, alimentando sempre più la disinformazione e la polarizzazione delle opinioni.
Un sostenitore di Trump che condivide su Facebook un'informazione falsa sul suo conto, probabilmente senza averla verificata in anticipo.

Ma non è finita qui… Trump ha potuto contare anche sull’appoggio del governo russo, che tramite la cosiddetta “fabbrica dei troll” (cioè un’agenzia che crea profili social falsi) ha contribuito ancora di più alla diffusione di disinformazione, destabilizzando l’elettorato dell’intero il Paese (e non solo).

Non possiamo non parlare poi della famosa società che è stata colpita da uno scandalo nel 2018 a causa di una profilazione non etica degli utenti Facebook: Cambridge Analytica. Questa società, nata nel 2013, è stata la principale responsabile di molti messaggi e slogan diffusi durante la campagna elettorale di Trump (uno fra tutti il famoso “Defeat Crooked Hillary”); non solo ha lavorato per il tycoon, ma ha preso parte anche ad altre campagne politiche in giro per il mondo, tra cui quella per il Leave portata avanti da Boris Johnson nel corso della Brexit.

Il logo della campagna "Deafeat Crooked Hillary", diffuso da Cambridge Analytica per conto di Trump.
La storia della società e dei suoi dirigenti si interseca con quella di Christopher Wylie, un informatico canadese che ha permesso la nascita e, in seguito, il declino dell’azienda. Grazie alle proprie capacità tecniche e a nozioni di psicologia (il cosiddetto “OCEAN”, un modello di valutazione della personalità), Wylie è riuscito a
profilare²

Per profilazione si intende, in marketing, la suddivisione degli utenti in categorie specifiche in base ai loro gusti o interessi. In questo modo è possibile inviare comunicazioni persuasive mirate, come ad esempio pubblicità o messaggi politici

milioni di utenti Facebook senza il loro esplicito consenso. In questo modo ha dato la possibilità a Cambridge Analytica di inviare loro messaggi politici mirati, al fine di convincerli a votare Trump o a non votare Clinton.

LE TESTIMONIANZE E LE INCHIESTE GIORNALISTICHE

A partire dal 2018 si sono susseguite numerose testimonianze da parte di alcuni ex dipendenti di Cambridge Analytica (i cosiddetti whistleblower) che hanno portato alla luce le operazioni illecite dell’azienda. Tra questi troviamo lo stesso Christopher Wylie, convinto dalla giornalista Carole Cadwalladr a denunciare pubblicamente, e Brittany Kaiser, una delle più importanti impiegate di CA, che ha fornito una serie di prove incriminanti verso la società.
Christopher Wylie e Brittany Kaiser, i due whistleblower che hanno rivelato dettagli importanti ai fini delle indagini su Cambridge Analytica.

In una video intervista realizzata dal giornale inglese The Guardian, l’informatico racconta la sua esperienza all’interno di CA, dall’incontro con i dirigenti agli accordi con i finanziatori, dalle operazioni nascoste fino al suo allontanamento spontaneo.

Per capire meglio di che tipo di società stiamo parlando, è emblematica una frase pronunciata da Wylie durante l’intervista:

È incorretto chiamare Cambridge Analytica come una sorta di compagnia di analisi di dati o una compagnia di algoritmi. È un completo servizio di macchina propagandistica. Se puoi controllare tutti i flussi d’informazione attorno ai tuoi avversari, puoi influenzare come essi percepiscono quello spazio di battaglia e il modo in cui si comportano e reagiscono.

La testimonianza di Brittany Kaiser, invece, porta alla luce prove che confermano l’utilizzo di questi dati da parte di CA anche dopo aver assicurato ai dirigenti di Facebook la loro cancellazione dai propri database:

Credo di avere delle prove del fatto che CA ha ottenuto, trattenuto e utilizzato questi dataset, apparentemente in contravvenzione agli obblighi di legge.

 

Ho trovato una mail datata marzo 2016 in cui uno dei nostri senior data scientist ha confermato che stavamo utilizzando alcuni “mi piace” di Facebook per la modellazione, due mesi dopo la nostra conferma che quei dati fossero stati cancellati.

Da queste importanti testimonianze è scaturita una serie di indagini ufficiali e giornalistiche per fare luce sull’accaduto.

L’indagine più significativa, che affronta direttamente la questione della disinformazione, è il Rapporto Mueller. Si tratta di un documento derivante da due anni di investigazioni, che si divide in tre principali accuse:

  1. La Russia è intervenuta, in maniera sistematica e volontaria, nel processo di campagna elettorale per diffondere informazioni false attraverso l’utilizzo di bot e
    troll³

    Nel gergo della rete un “troll” è un profilo social falso che interagisce con gruppi, pagine o utenti al fine di infastidire e intralciare le normali discussioni, o come in questo caso di diffondere disinformazione.

    .

  2. Donald Trump e i suoi collaboratori hanno incontrato numerose volte esponenti del governo russo. In questo caso il rapporto afferma la possibilità che vi sia stato un accordo di collaborazione tra le due parti, ma non avendo prove sufficienti per accertarlo non lancia accuse ufficiali.
  3. Donald Trump ha più e più volte ostacolato le indagini nei suoi confronti, cercando di corrompere o licenziare rappresentanti degli organi ufficiali che potessero mettergli i bastoni fra le ruote.
Robert Mueller, procuratore responsabile delle indagini che hanno condotto alla redazione del rapporto Mueller.

La seconda inchiesta che ha fatto luce sulla vicenda è quella condotta da Channel 4. Nel corso di questa indagine alcuni giornalisti sotto copertura si sono finti potenziali clienti verso i dirigenti di Cambridge Analytica, riprendendoli in segreto mentre dichiarano apertamente le operazioni di profilazione e di diffusione di informazioni false condotte dalla società.

La terza inchiesta invece è quella condotta dal Congresso degli USA nei confronti di Facebook. Il coinvolgimento del colosso high-tech nella vicenda non è da sottovalutare, visto che i dati utilizzati per profilare i cittadini americani provenivano dalla famosa piattaforma social.

Il Congresso statunitense ha deciso di interrogare il CEO Mark Zuckerberg per ottenere risposte sull’accaduto. Tralasciando il fatto che i senatori non sembravano avere ben chiaro il funzionamento di Facebook e le modalità con cui esso guadagna dalle pubblicità, Zuckerberg è riuscito a districarsi tra le domande, nonostante il timore iniziale. Il CEO ha infatti fornito risposte che in parte scagionano la sua azienda dalle accuse lanciate e dagli errori commessi, promettendo una serie di cambiamenti nelle policy aziendali riguardanti la privacy.

VIOLENZA E SOMMOSSE: LE CONSEGUENZE PRATICHE

Questo tipo di comunicazione dai toni forti, insieme a tutte le vicende giudiziarie che hanno coinvolto il tycoon, ha condizionato la società americana durante tutto il periodo della presidenza di Trump. Gli atti di violenza che si sono susseguiti nel Paese nel corso dei 4 anni sono stati numerosi e piuttosto eclatanti: basti pensare all’uccisione di George Floyd da parte di un agente di polizia di Minneapolis, episodio che ha scatenato accese proteste in tutta l’America (il cosiddetto movimento Black Lives Matter). Proteste culminate spesso in azioni violente sia da parte dei manifestanti, sia da parte delle forze di polizia. Il picco di violenza si è però raggiunto il 6 gennaio 2021, quando la vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali sembrava quasi ufficiale. In occasione di una manifestazione a suo favore, l’amareggiato Trump, deciso a non voler lasciare la Casa Bianca, ha tenuto un discorso davanti ad una folla di “agguerriti” sostenitori. Il termine non è casuale, visto che tra i manifestanti erano presenti alcuni gruppi paramilitari di estrema destra come gli Oath Keepers e i Proud Boys.
I "Proud Boys" nella loro uniforme in occasione del discorso di Trump del 6 gennaio.

Grazie alla sua retorica populista e di stampo aggressivo, il tycoon ha convinto la folla a marciare su Capitol Hill, la sede del Congresso statunitense, per evitare che i senatori decretassero l’effettiva vittoria dell’avversario democratico Biden. Nel corso della giornata si è consumato un vero e proprio assedio che ha messo a rischio la vita dei parlamentari e di tutti coloro che lavoravano all’interno della struttura.

Si tratta di un episodio storico, che ha profondamente scosso l’opinione pubblica: il maggior centro di potere della società occidentale vandalizzato e danneggiato da una folla inferocita di manifestanti, aizzati tra l’altro dalla più alta carica dello Stato.

La folla di manifestanti pro-Trump che si è riversata sulla sede del Congresso statunitense.

CONCLUSIONI

Possiamo facilmente intuire come la comunicazione di Trump sia stata sin da subito, e per tutta la durata del mandato, il punto forte della sua strategia. Questi toni vivaci gli hanno infatti permesso di conquistare il favore di quella parte d’America più radicale e conservatrice rimasta “nascosta” per parecchio tempo. Tutto ciò però ha un prezzo: diffondere notizie e informazioni false è un atto che prima o poi viene smascherato e di norma punito severamente, in particolar modo se condotto dalle più alte cariche statali attraverso metodi illeciti. Questo dovrebbe farci riflettere sull’importanza di porsi sempre delle domande e dei dubbi e di non dare mai un’informazione per vera a priori.

FONTI

  • Channel 4 News, Youtube
  • Defeat Crooked Hillary, Facebook
  • Di Bella A., Assalto a Capitol Hill, in L’assedio. Washington, 06/01/2021. Cronaca del giorno che ha cambiato la storia, Rai Libri, 2021.
  • Gorgolini L. (a cura di), Media digitali e disinformazione: Politica, giornalismo, social network e conflitti armati, Bologna University Press, 2022.
  • Kaiser B., La dittatura dei dati. La talpa di Cambridge Analytica svela come i big data e si social vengono usati per manipolarci e minacciare la democrazia, HarperCollins Italia, 2019.
  • The Great Hack – Privacy violata, Netflix, 2019, regia di Karim Amer e Jehane Noujaim.
  • The Guardian
  • The New York Times
  • Wall Street Journal
  • Wylie C., Il mercato del consenso: come ho creato e poi distrutto Cambridge Analytica, Longanesi, 2020.
Giacomo Campidelli

Giacomo Campidelli

Copywriter, Laureato in Comunicazione e Digital Media.

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